Danza e società

La crisi silenziosa nel mondo della danza: social media e scarso interesse degli adolescenti.

ballerina adolescente sui social media

Adolescenti distratti, apatici o corsi vuoti? Oltre alla rivoluzione digitale che scompensa il sistema dopaminergico, bisogna fare i conti anche con l’ansia da prestazione. Dobbiamo trasformare la sala in un “porto sicuro” dove l’errore è crescita e la danza è libertà.

Il mostro invisibile: il vuoto nella stanza.

Un nuovo giorno sta per iniziare in sala, abbiamo preparato una lezione bellissima per coinvolgere i nostri allievi adolescenti ma… uno sguardo che vaga, un’espressione assente e l’attenzione che sembra svanire dopo pochi minuti, come sabbia tra le dita.

Per non parlare del mostro invisibile: il silenzio dei posti vuoti. È il vuoto lasciato da quei ragazzi che non si sono nemmeno iscritti, o che hanno mollato dopo un mese perché “è troppo impegnativo”.

Un senso di frustrazione dilaga e le più disparate domande si insinuano nella nostra testa: “Dove ho sbagliato? Sono io che non so motivarli? Perché non hanno più la grinta di una volta?”.

Fermiamoci un attimo. Respiriamo.

Se vi dicessi che il “mostro” non è la loro pigrizia, e nemmeno la nostra incapacità? C’è una doppia tempesta che sta investendo questa generazione. Da un lato, un nemico invisibile che ha riprogrammato il loro cervello, ossia i social e la rivoluzione digitale. Dall’altro, una pressione sociale schiacciante che li paralizza.

Quindi, prima di darci colpe che non abbiamo, proviamo a capire cosa sta succedendo là fuori e dentro le loro teste.

Il cervello riprogrammato: dopamina e scroll infinito

Il primo pezzo del puzzle è biologico. Dobbiamo capire come funziona il sistema della dopamina, il nostro ‘ormone della motivazione’. Per millenni, questo meccanismo ci ha spinto a faticare per ottenere una ricompensa (cibo, sicurezza). Un ciclo di ricerca-sforzo-ricompensa lento, che ha modellato la nostra capacità di perseveranza.

Ma la rivoluzione digitale ha distorto questo equilibrio. C’è un’intera generazione nata e cresciuta dentro di essa. Gli short-form sui social e lo scrolling infinito creano un ciclo di ricompensa rapida, frequente ma debole. Il cervello viene abituato a piccole ‘scosse’ continue, disimparando a lavorare per ricompense a lungo termine.
È come nutrire un atleta solo con zuccheri veloci: energia immediata, ma zero resistenza. Questo porta inevitabilmente a una riduzione della soglia di attenzione e a un disinteresse verso percorsi lunghi come un anno di studio della danza.

Ma non è solo un’equazione chimica per rendere i social “più accattivanti”.
C’è di più.

La nostra attenzione è merce di scambio preziosa

Dietro ogni “like” e ogni video che l’algoritmo ci propone, c’è una strategia precisa. L’obiettivo delle piattaforme social è monetizzare l’attenzione. Più tempo passiamo online, più annunci vediamo, più gli inserzionisti spendono.
La nostra attenzione è la “merce” più preziosa, e le piattaforme sono progettate per catturarla con stimoli facili e ri-proponendoci sempre di più contenuti che ci intrattengono (la maggior parte delle volte brevi e di poco valore).

Neuroscienziati come Andrew Huberman (Stanford University) spiegano come il sistema dopaminergico venga costantemente “hackerato” per tenerci incollati allo schermo. Il problema è amplificato negli adolescenti, il cui cervello è ancora in via di sviluppo (la corteccia prefrontale, sede del controllo degli impulsi, matura più tardi).
Questo li rende vulnerabili e rende più facile per loro scegliere Tik Tok alla disciplina della sbarra.

Non si tratta quindi di una “generazione svogliata”, ma di una generazione con un sistema neurologico ri-calibrato da un ambiente che premia la frammentazione. Accostiamoci a loro con un principio di bontà, cercando di comprenderli anziché giudicarli.

Il peso dell’incertezza e della pressione

Oltre allo schermo, c’è la realtà. Gli adolescenti di oggi vivono in un contesto di incertezza radicale sul futuro e di una continua, asfissiante pressione all’iper-produttività. Devono essere eccellenti a scuola, popolari sui social, vincenti nello sport. Sono costantemente sotto esame, costantemente in competizione.

Quella che noi interpretiamo come “svogliatezza” o “noia” in sala, spesso è paralisi. È la reazione di un sistema nervoso sovraccarico che dice: “Non ce la faccio più a essere giudicato. Non ce la faccio più a dover performare.”

Se la danza diventa solo un’altra arena dove devono essere perfetti, dove non possono sbagliare, dove c’è competizione tossica… allora scapperanno. Non perché non amino la danza, ma perché non reggono l’ennesima pressione.

La danza come antidoto neurochimico e porto sicuro

E qui entriamo in gioco noi. La danza ha il potere di essere un potente antidoto.

Dal punto di vista chimico, l’attività fisica stimola le endorfine (benessere), l’ossitocina (legame sociale) e la serotonina (piacere e fiducia), offrendo un ciclo di ricompensa molto più sano dei social.

Ma soprattutto, possiamo rendere la sala danza un ambiente contro corrente.
Un luogo dove fallire è normale. Dove l’errore non è una macchia sul curriculum, ma un’informazione necessaria per imparare a muoversi meglio.

Dobbiamo normalizzare il fatto che si possa ballare anche solo per il piacere di farlo, senza dover per forza “diventare qualcuno”, e allo stesso tempo normalizzare il percorso professionale per chi lo desidera, ma senza caricarlo di ansia distruttiva come se si trattasse di combattere per la vita o la morte.

Dobbiamo fare un passo indietro e chiederci: stiamo proiettando su di loro le nostre aspettative? Stiamo cercando di riscattare la nostra carriera o di replicare la rigidità che abbiamo subito noi? Loro non sono noi.
Hanno bisogno di una guida, non di un altro giudice.

Noi insegnanti non possiamo avere il peso del mondo sulle spalle…

Parliamoci chiaro: noi insegnanti non abbiamo la bacchetta magica.

Non possiamo, da soli, invertire la crisi economica, l’incertezza del futuro o il potere degli algoritmi. Non possiamo forzare un adolescente a innamorarsi della danza.

Non iper-responsabilizziamoci. Se le iscrizioni calano, non è necessariamente colpa della nostra didattica. È un cambiamento epocale.

Però, possiamo fare la differenza per chi resta.

Possiamo evitare che loro abbandonino, creando un ambiente funzionale, sicuro ed empatico. 

Creare un ambiente di apprendimento gratificante (applicando le gerarchie motorie ad esempio) ci permette di dare loro sfide adeguate, che motivano invece di frustrare. 

Capire questi meccanismi non serve a “salvare il mondo”, ma a lavorare meglio noi, a rimanere centrati e a non perdere quei ragazzi che ci hanno dato fiducia.

Il ruolo trasformativo degli insegnanti

Rimanere consapevoli è il primo passo. Non siamo qui per combattere i mulini a vento, ma per offrire un’oasi di concretezza e umanità.

Se volete conoscere dei metodi pratici per creare un ambiente stimolante in sala per i nostri allievi adolescenti, nella newsletter di oggi ho condiviso consigli su come:

  • Rituali di inizio lezione per riconnettersi.
  • Lavoro nella Zona di Sviluppo Prossimale (né troppo facile, né troppo difficile).
  • Come usare la musica per bypassare la distrazione.

Se l’hai persa, recuperala qui! (specifica che ci sei arrivato da questo articolo alla voce “Qual è la sfida più grande che affronti in sala?”)

E per andare a fondo, nel mio corso ‘Step Zero’, ti fornirò gli strumenti didattici per creare un ambiente che nutre la motivazione intrinseca, aiutandoti a lavorare con meno ansia e più risultati.

Se sei pronta/o a proteggere la tua passione e quella dei tuoi allievi scopri il programma!

Un caro saluto,
Sara

Prev No Next Post Available

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *